by Marta Zannoner | lug 1, 2015 | Cultura e musica, Magazine |
A poche ore dall’inizio della sedicesima edizione dell‘International Shorts Film Festival, che coinvolgerà piazza Verdi e il cinema Ariston di Trieste dal 2 al 10 luglio, abbiamo intervistato la presidente dell’Associazione Maremetraggio Chiara Valenti Omero, che dopo una lunga esperienza nel campo del cinema, ci ha dato qualche consiglio per gli aspiranti registi e sul come poter dare una svolta alla cultura a Trieste.
Cominciamo con una domanda per rompere il ghiaccio. Com’è nata in lei questa passione per il cinema? Guarda, io credo che la passione per il cinema sia una cosa che ci portiamo dentro innata se c’è. Nel mio caso di fatto poi questa passione si è sviluppata nel 2000. All’epoca assieme a Maddalena (Maddalena Mayneri, ndr), amica di sempre che all’epoca già faceva un festival a Cortina, che però aveva chiuso, ci siamo chieste perché non portare qualcosa di simile a Trieste. Insomma, come accade spesso in amicizia, quasi casualmente, è nata l’idea di cominciare con questo festival.
E proprio del festival Shorts andiamo a parlare ora. Ha notato delle differenze di stile e di tematiche tra le opere italiane e straniere? Differenze tematiche direi che in linea di massima non ce ne sono. I cortometraggi molto spesso sono un po’ lo specchio di quello che accade nella nostra società, quindi se un regista deve raccontare una storia, racconta quello che gli succede attorno, per cui tra gli stranieri e gli italiani di diversità ti temi non ce ne sono. Dispiace però dire che tra stranieri e italiani ci sono differenze produttive. Molto spesso i film che arrivano dagli altri Paesi sono un gradino più sopra soprattutto da un punto di vista di mezzi a disposizione. Quest’anno è capitata una cosa curiosa: sono arrivati molti corti italiani prodotti all’estero, e non diresti che sono italiani poiché i mezzi di produzione che ci sono alle spalle di quei lavori consentono quello che in Italia non ci si riesce a concedere. Purtroppo è così. Ci sono Paesi che secondo me riescono a supplire a queste mancanze, come ad esempio la Spagna: là hanno idee folgoranti che riescono a sviluppare anche con pochi mezzi. Ci sono invece altri Paesi che questo non lo riescono a fare, necessitando di più mezzi. Noi siamo a metà strada. Delle volte si diffonde l’idea che per fare un corto di successo sia necessario a tutti i costi sviluppare solo certi tipi di tematica, quando invece, spesso, alla base di un corto vi è una piccola intuizione.
Cosa distingue questa edizione di Shorts dalle precedenti? Durante la conferenza stampa ha parlato di coraggio. Sì, quest’anno c’è voluto abbastanza coraggio a portare avanti questa edizione e a portarla avanti così, rinunciando a pochissime cose. Quest’anno abbiamo 10 opere prime, quindi anche più del solito. I costi sono sempre tanti. Coraggio ce n’è voluto anche perché uno dei maggiori sponsor all’ultimo si è ritirato, però abbiamo deciso di continuare. Ma coraggio anche perché sono dell’idea che Trieste forse dovrebbe averne di più per difendere la cultura. Alcune cose mi rendo conto che si stanno smuovendo, ma comunque con estrema difficoltà, perché ancora oggi ognuno tende a pensare a se stesso. Non abbiamo ancora totalmente capito che solo facendo sistema e unendo le forze, che può voler dire anche fare un passo indietro e mettersi in discussione, si potrà andare veramente avanti. Trieste è destinata a morire sotto certi aspetti se non si riesce a fare un ragionamento di questo tipo. E questo vale per tutte le piccole e grandi realtà culturali, non solo cinematografiche. Bisogna capire dove si vuole andare a Trieste, perché siamo tanti e non potremo continuare ad essere tanti.
Ha potuto notare una buona affluenza di giovani durante le varie edizioni del festival? Il nostro è un pubblico molto eterogeneo. In piazza Verdi ti capita di vedere tutte le età. Poi, quello del corto, per la sua brevità, è un genere che si presta ad essere goduto da ogni tipo di pubblico. Se proprio mi devi portare sui giovani, forse frequentano di più Taglia Corti (ride, ndr). Inoltre piazza Verdi si presta al turismo. L’anno scorso abbiamo avuto la richiesta di poter fare doppio sottotitolaggio, in italiano e in inglese, per permettere così anche ai turisti o a chi viene da fuori Trieste di poter vedere i corti. Ammetto che finché la piazza è piena, non ci poniamo troppe domande sull’età del pubblico.
È stata eletta da poco presidente dell’Afic, Associazione Festival Italiani di Cinema: avete già dei progetti per incentivare i giovani registi, nonché il mondo del cortometraggio? L’Afic raggruppa ad oggi 40 festival. Di questi 40, ce n’è una buona quindicina che si occupa solamente di cortometraggi, per cui direi che l’attenzione a questo genere da parte dell’Associazione c’è sicuramente. Per il futuro poi si svilupperanno delle nuove strategie proprio per cercare di coinvolgere più festival possibili. Per accedere all’Afic bisogna rispondere a determinati requisiti. Ora ci stiamo chiedendo se questi requisiti sono ancora validi, posto che hanno dieci anni di età, e magari se si possono modificare per venire proprio incontro a nuove formule di festival, anche perché in questo momento in Italia c’è un grande fermento da questo punto di vista. Quindi, anche per questo, l’attenzione ai giovani da parte di Afic sicuramente ci sarà.
Il cortometraggio è una tappa obbligata per un aspirante regista? Direi di no. Diciamo che è normale che sia una tappa prima del lungometraggio, ma negli anni ho potuto notare come spesso accada il contrario per molti registi: si dedicano al cortometraggio dopo i primi lungometraggi. Magari lo considerano un momento di “relax”.
Però il cortometraggio può essere più difficile rispetto ad un lungometraggio. Nel cortometraggio un regista si trova a dover esprimere in meno tempo quello che nel lungometraggio avrebbe trovato più spazio. Questo sicuramente. Per non parlare del fatto che sei vuoi fare un buon lavoro da un punto di vista produttivo, nelle varie fasi di realizzazione di un corto (troupe, piani di lavorazione, etc.) non hai nulla da invidiare ad un film di maggior durata. Ed essendo magari il tutto più condensato nei tempi, è ancora più importante che tutto sia organizzato nel migliore dei modi. Forse, quella del corto, è una tappa utile e un buon allenamento prima del lungometraggio.
Cosa si sente di consigliare ad un regista emergente in questo particolare momento storico ed economico nel nostro Paese? Che domanda difficile! Istintivamente verrebbe da dire di andare a cercare altrove. Però, visto che amiamo il nostro cinema, il consiglio che io mi sento di dare è di continuare a credere in se stessi. Se credi in te stesso, nelle tue capacità, nelle tue idee e nella tua forza, magari con un pizzico di coraggio, bisogna perseverare e andare avanti. Insistere! Poi mi rendo conto che magari, andando all’estero hai più possibilità e mezzi. Ad esempio, in questi giorni mi sto confrontando con la giuria dei cortometraggi, e spesso mi dicono che un’opera è particolarmente bella, e quando rispondo loro che si tratta di un corto italiano, mi guardano con tanto d’occhi dicendo che “non sembra italiano”, magari perché è semplicemente prodotto fuori dall’Italia. Ed è un discorso che un po’ dispiace e che fa male. Magari la colpa un po’ è anche dei nostri registi connazionali, che molto spesso si piangono addosso, o magari si auto convincono di dover raccontare delle storie astruse, quando invece alle volte la semplicità, mentale più che tecnica, potrebbe ripagare maggiormente.
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