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  • Immagine del redattoreMarta Zannoner

Recensione: “Liebestod el olor a sangre no se me quita de los ojos Juan Belmonte”


Oggettivamente, uno spettacolo che comincia con dieci gatti – o forse più – tenuti al guinzaglio da un imponente uomo barbuto vestito di solo una gonna viola merita dell’attenzione. Datemi pure della “semplice” o “facilmente impressionabile”, ma le immagini proposte da Angélica Liddell sul palco dell’Arena del Sole mi hanno colpita. Liebestod – El olor a sangre no se me quita de los ojos – Juan Belmonte è una lotta continua, un’onda anomala che porta le emozioni su e giù mutandole continuamente. Ci sono stati momenti odiosi, altri estremamente poetici. Una vera e propria Babele (considerando anche il titolo in tedesco, il testo in spagnolo e numerose incursioni di francese) di sensazioni contrastanti. Una sfida impari come quella tra toro e uomo. Solo che a scontrarsi all’Arena (del Sole) non erano un torero impettito e un povero bovino maltrattato, ma una donna (a dirla tutta parecchio masochista) e l’amore per il dolore, per la morte. Ed ecco che spunta il significato di “liebestod” (morte d’amore) che dà il titolo all’ultimo atto dell’opera Wagneriana Tristan und Isolde, a cui la regista e interprete si è ispirata.


Alcuni potrebbero dire con tono sprezzante “nomen omen”: nelle intenzioni dell’attrice (e regista e costumista e scenografa… masochista, appunto) c’era quella di spingere al limite lo spettatore, facendogli a tratti desiderare di non essere presente in sala. Confesso di aver vacillato anch’io… è stato durante il quarantesimo minuto circa (un tempo percepito e non reale, ndr) di danze e convulsioni davanti a un toro di plastica su una scena fissa, scarna e arancione, a richiamare un’arena spagnola. Tuttavia, anche in quel momento di grande sconforto intervallato da alcune risate sotto la mascherina FFP2, non riuscivo a non guardare. E ho fatto bene. Non è stato facile resistere alle mirabolanti smorfie grottesche della Liddell, le stesse che mi suscitavano le risatine di cui sopra, ma infin vinse la volontà di andare avanti.


E per fortuna, ripeto.


Nel post estasi danzante taurina, la perplessità in platea si tagliava con il coltello. Cosa sarebbe accaduto adesso? Ebbene, ecco che Angelica, dopo essere arrivata alla conclusione di aver turbato abbastanza il toro sintetico, prende la decisione di indossare un abito da sposa e, presumibilmente, sposare il personaggio successivo.


Dopo un rapido cambio scena, sul palco arriva infatti Tristano, un attore privo di gamba e braccio destri. La consapevolezza di quello che avevamo davanti agli occhi non lasciava spazio a interpretazioni. Era una mossa strategica, quasi crudele, ma soprattutto umana, per metterci di fronte a realtà scomode. Nulla a che vedere con il testo in sé. La potenza del monologo in cui l’uomo, disteso sul grembo della Liddell, si dichiara incapace di dormire perché è e sarà per sempre uno storpio prevarica sullo scetticismo di chi può trovare da ridire su una simile scelta, quasi fosse una faciloneria. Invece l’impatto è stato reale ed efficace. Un uomo vero che declama il vero. Certe volte la realtà non può essere edulcorata. Non ho la presunzione di affermare che la condizione di mutilato implichi una resa necessaria, ma essa resta comunque un dato di fatto e l’essere umano non è sempre bravo con i fatti. In ogni caso, è l’onestà di azione e reazione che permane vera, sempre.


È passato diverso tempo da quando ho visto lo spettacolo. Nel frattempo, ho avuto modo di leggere i pensieri dei critici in merito alla materia Liddell. Le recensioni sono state tendenzialmente positive e, anche quando le parole non sembravano portare a una felice conclusione, il numero di stelline (o pallini) indicavano sempre un voto superiore al 6. Personalmente non mi sento così categorica da dare dei voti, basandomi su una scala da 1 a 10 senza tener presente i decimi e i millesimi, ma posso agire da vera trasformista gattoparda: conto sulle parole, non sempre chiare, che ho partorito e che ognuno poi ci legga quello che vuole. E soprattutto faccia quello che vuole.


Ah, e comunque a me è piaciuto.

Almeno una responsabilità sentivo di doverla prendere.

Marta Zannoner

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