19 Aprile 2018
Quando si compra il biglietto per “Delitto e Castigo” è lecito, ma non scontato, aspettarsi un certo stile narrativo: attori in costume, scenografie che riportano alla Russia dell’800 e, tutto sommato, situazioni subito riconducibili al testo di Fëdor Dostoevskij. Se fosse stata la rassicurante convenzione che lo spettatore andava cercando, lo stupore sarà stato molto elevato una volta trovatosi davanti la trasposizione teatrale del regista Konstantin Bogomolov, che ha diretto il cast italiano nella rilettura trash-provocatoria del famoso romanzo. Tanto per cominciare, la storia si apre con un manichino nero steso sul palco, seguito dall’entrata di una donna in abiti succinti armata di pistola. La scena dovrebbe simboleggiare i delitti che verranno commessi dal protagonista, Rodja (Leonardo Lidi). La sua personale rivolta contro i contemporanei si preannuncia con lo sparo che la ragazza rivolge contro il pubblico.
Dopo questo inizio al cardiopalma, si capisce che il regista russo ha voluto smontare pezzo per pezzo l’opera di Dostoevskij, manipolandola e trasformandola. L’azione si sposta ai nostri giorni e Rodja è uno sfaticato ragazzo di colore, con una parrucca afro, del fondotinta spalmato male sul volto e propenso ad una particolare sciatteria nel vestire. Come nel romanzo, Rodja si sente distante dalla società che lo circonda, tanto da arrivare a sovvertire le regole, ammazzando la sua locataria, un’anziana signora, non prima di averla costretta ad una fellatio, cosa che in realtà la sventurata apprezzerà molto, tanto da paragonare il sapore del ragazzo a quello della Nutella. Anche il restante corteo di personaggi è portato allo stremo. I più interessanti sono sicuramente il poliziotto pederasta afflitto da emorroidi (Paolo Musio), e un viscido avvocato (Renata Palminiello) solito a prodigarsi in lunghi monologhi reggendo un cocco e una banana, disposto a tutto pur di avere nel suo letto la sorella di Rodja. A quanto pare, la frutta esotica dovrebbe essere un riferimento alla colonizzazione del Congo da parte del re belga Leopoldo II, ma lì poteva apparire una delle numerose scelte eccentriche di Bogomolov e che, per questo, si è persa in un pasticcio di ingredienti. Una macedonia con tanta, troppa frutta.
La scenografia è scarna, volutamente squallida: sono presenti una telecamera e quattro schermi su cui vengono proiettati dei dettagli di ciò che accade sul palco, con il puro fine di permettere anche al pubblico più distante di vedere chiaramente ciò che sta succedendo e nulla più. La recitazione è consapevolmente fredda e piatta: poche emozioni trapelano dall’intonazione degli attori, in linea con i pochi oggetti che decorano la scena. Ciononostante sono evidenti le differenti esperienze tra chi è bisognoso di maggior training, e chi, invece, ha saputo destreggiarsi impeccabilmente, pur affrontando una notevole sfida registica.
Alcune scene risultano grottesche, come quella in cui Sonja (Diana Hobel), una giovane prostituta sinceramente affezionata a Rodja, concede un rapporto orale al proprio padre (sì, un’altra fellatio) per poi sputare sotto i cuscini del divano, da dove lo stesso padre (Enzo Vetrano) raccoglierà dei funghi, raccontando al pubblico la storia della sua vita. L’interpretazione di Vetrano è uno dei momenti più alti e poetici dello spettacolo, in grado di afferrare anche lo spettatore ormai sul punto di alzarsi dalla sedia.
Infatti, lo spettacolo non era solo sul palcoscenico, ma anche in platea: molti dei presenti in sala hanno abbandonato la performance prima della fine, con rumorose lamentele. C’era un palpabile sentore di perplessità nell’aria per questa pièce che ha raccolto più dissensi che apprezzamenti. Tuttavia, per coloro che tra il pubblico hanno deciso o che decideranno di seguire il sentiero dell’assurdo che viene loro presentato, potrebbero considerare questa versione di Delitto e Castigo un esperimento interessante. Anche se sicuramente avranno bisogno di un manuale di istruzioni per cogliere tutte le citazioni inserite dal regista.
Marta Zannoner
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