Nonostante il riferimento alla favola di Collodi sia immediato e necessario, il personaggio ambiguo del burattinaio, crudele e magnanimo allo stesso tempo, viene usato da Roberto Latini come un semplice mezzo di narrazione. Chi conosce i lavori di Latini sa bene che sul palco non troverà la linearità e le unità aristoteliche atte a comporre una storia che si avvia e conclude con precisione. Il regista, in questo caso, ha dichiarato di voler continuare un lavoro iniziato con lo spettacolo Teatro Comico, portato in scena con la stessa compagnia (Elena Bucci, Marco Manchisi, Savino Paparella, Stella Piccioni, Marco Sgrosso e Marco Vergani), in cui si richiama a gran voce la volontà dell’attore e del pubblico, creando la meta-teatralità.
Quando gli attori entrano per la prima volta in scena si presentano con il loro nome e con un aneddoto della loro vita, raccontano di come si sono avvicinati al teatro. Per cui il quel momento è il pubblico a diventare Mangiafoco, che “provina” ogni membro della compagnia, soppesandone il gradimento e le doti.
Qualcosa sfugge al controllo in questo spettacolo che è orchestrato come un grande insieme di suggestioni. Lo scopo di Latini è creare immaginazione e lo fa raccogliendo e amalgamando le esperienze personali, quelle dei suoi attori e stimolando il pubblico con espedienti scenici: uno scivolo, enormi maschere di Topolino e del ghiaccio. Il pubblico è sollecitato, viene interpellato a recitare a sua volta in un’unica voce dalle poltrone.
Tuttavia non è sempre ben chiaro il messaggio o il metodo narrativo scelto. Il pubblico spia dalla serratura il viaggio che si consuma sul palco, spettatori voyeuristi che sbriciano nella mente del regista per cui è difficile comprendere appieno tutto ciò che accade al suo interno. Se ne colgono attimi, si apprezzano le doti artistiche di ciascun membro della compagnia, si ammira la regia e si resta colpiti dalla scenografia: come quando enormi blocchi di ghiaccio vengono impilati fino a formare un piccolo iceberg, che si scioglie davanti ai nostri occhi.
In fondo, però, come ogni sogno che si rispetti deve essere accettato, pur nella sua discontinuità. Come mentre sogniamo ci sembra tutto plausibile, così a teatro possiamo rivendicare e dare sfogo all’onirico.
Marta Zannoner
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